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GIUDITTA & LORENZO – IL CUORE OLTRE LE SBARRE

QUESTO NOSTRO AMORE NATO DIETRO LE SBARRE

Lorenzo era in carcere per scontare una pena. Giuditta una giovane insegnante. Si incontrano al Meeting di Rimini, dove lui era volontario con altri compagni. Si innamorano, vivono il fidanzamento divisi e finalmente si sposano. «La nostra è una storia di conversione e misericordia».

giuditta

Il matrimonio di Giuditta e Lorenzo

I buoni fuori e i cattivi dentro. E per favore, buttate via la chiave. Spesso vogliamo tracciare un confine netto tra i (presunti) buoni e i cattivi. Dimenticando un elemento fondamentale: la misericordia. È un’esperienza, quella della misericordia, che ben conoscono Giuditta e Lorenzo, sposi da pochi mesi. Ma la loro non è la storia romantica, di un bel sogno d’amore che viene coronato dallo scambio degli anelli. Lorenzo, infatti, è un detenuto che sta finendo di scontare la pena e, con Giuditta, sta sperimentando che cosa significa essere amati e accolti.

Giuditta Boscagli ha incontrato Lorenzo casualmente, e per poche ore, al Meeting di Rimini, promosso da Comunione e liberazione: lui volontario con altri detenuti del carcere di Padova, lei visitatrice abituale della kermesse agostana. È stato un incontro che li ha segnati, dando una svolta alle loro vite e facendo loro desiderare che quel legame fosse “per sempre”. Vivendo oggettive difficoltà e limitazioni. La scorsa primavera si sono sposati.

Giuditta, si può dire che la vostra storia è una storia di conversione?

«Ci è capitata una grande grazia. Per mio marito è stato un ritrovare la fede, grazie all’incontro con alcuni amici nel carcere. Per me è stato capire, giorno per giorno, quanto conti l’amicizia con Gesù. Dopo quel Meeting ho sentito l’esigenza della Messa quotidiana per vivere la fede fino in fondo. Per noi il punto fondamentale è stata la crescita nella fede e lo scoprire la convenienza dello stare insieme. Da qui il desiderio e la mancanza di paure di fronte al “per sempre”. E poi, non siamo mai stati soli, abbiamo amici, come angeli, discreti e presenti».

È difficile vivere la vostra realtà? In un periodo come questo, che cosa significa non potersi vedere liberamente da fidanzati e nemmeno pensare a un bel viaggio di nozze?

«È duro non avere la libertà di fare anche le più piccole cose. Finché Lorenzo non godeva del regime di semi-libertà c’erano solamente le lettere e un permesso ogni sessanta giorni. Insomma, un fidanzamento d’altri tempi… Siamo stati costretti ad andare all’essenziale. È faticoso, ma è un dono, perché mi ha invitata a pensare al fondo del valore del matrimonio, che è la grazia di questo sacramento, la grazia di essere consegnati l’uno all’altra, per sempre».

Qual è stata la reazione della sua famiglia alla notizia del fidanzamento con un carcerato?

«Non è stato semplice. La mia famiglia è sempre stata unita e ho sempre visto i miei genitori spendersi per noi figli. Mi hanno insegnato a essere accogliente, a stare con tutti. Hanno vissuto la fatica di pensare al futuro della propria giovane figlia con un detenuto di cui non sapevano nulla. Ma di me si fidavano e vedendomi sempre più certa e felice, si sono rasserenati. Quando hanno conosciuto il mio futuro sposo, quando hanno visto lui, che, proprio perché ha sbagliato tanto, è tanto capace di amare, è stato più semplice. Sgorga da qui, da questa ferita, la vita nuova. Chi sbaglia tanto, è anche chi desidera di più».

Suo marito, come si legge nel libro, ha deciso di vivere al meglio il periodo di detenzione. Quanto è importante questo atteggiamento?

«In carcere devi fare i conti con ciò che hai fatto. È fondamentale che non sia un parcheggio, ma un luogo in cui riprendersi la vita. Mio marito ha mantenuto questo atteggiamento. La sua famiglia non l’ha abbandonato e noi non siamo mai stati lasciati soli. Ci siamo accorti che Dio è un Padre buono e fedele. Quando poi ci sono i nomi e i volti degli amici che te lo ricordano, è più immediato. Mio marito, a Padova, ha incontrato amici veri, si è incuriosito, e ha accolto la loro proposta. Nelle carceri in cui i detenuti possono lavorare, in cui si possono instaurare dei rapporti umani autentici, la gente cambia davvero. Perdonare se stessi è la cosa più difficile, in assoluto. Con noi siamo spietati. Sentiamo il peso dei nostri sbagli. All’ingresso della nostra casa abbiamo posto questa frase di papa Benedetto XVI: “Anche chi sbaglia merita di essere amato”: serve a me, oggi, ogni giorno, in ogni rapporto».

La vostra è una bella favola?

«Non è una bella favola che si è conclusa con il matrimonio. I desideri non sono finiti quel giorno. Stiamo davanti alla realtà che c’è, più che correre avanti con i progetti. Abbiamo organizzato il matrimonio in cinque settimane, dopo che Lorenzo aveva ricevuto il decreto di affidamento ai servizi sociali; abbiamo confezionato le bomboniere e alcuni amici dei miei genitori ci hanno preparato il rinfresco nei locali dell’oratorio per noi e per i nostri quattrocento invitati. Era nostro intento infatti ringraziare tutti i nostri amici e desideriamo che questi amici continuino ad accompagnarci».

 

 

 

 

 

Omelia matrimonio – (Mt 7,21.24-29) Andrea ed Erica

Erica e Andrea (1)

Sposandosi si mette su casa. Purtroppo l’idea della convivenza ha preso piede e il matrimonio non significa più metter su casa…La convivenza è un peccato non solo perché non è secondo la volontà del Padre mio” come ci riferisce l’inizio tutt’altro che sentimentale del Vangelo scelto dagli sposi, ma perché costruisce una casa sulle sabbie mobili dei sentimenti, delle paure, delle incertezze…Che bello – come disse una giovane qualche anno fa – poter metter lo zerbino di casa dopo il matrimonio!

Metter su casa, è un’esigenza della vita. Vuol dire come ricorda la Scrittura che “l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola”. E’ come se il cuore, non solo le gambe, dicessero “Ora voglio camminare per la mia strada”. Quando l’avete fatta a vedere ad Adelmo con fierezza è come se gli aveste detto: “Nonno, ho messo su casa”.Puoi essere certa Erica che tuo padre, Fausto ora si compiace. Non siamo fatti per stare in casa, ma per uscire, per metter su casa. “Papà, guarda. Sono diventata grande. Ho messo su casa!”.

La casa è una delle parole più calde e più care. “Casa dolce casa” e quand’anche per qualcuno ci siano state case abitate dalla violenza o dalla solitudine, la casa è la nostalgia e il desiderio di ciascun uomo e ciascuna donna.
C’è anche un’altra esigenza del metter su casa ed è il desiderio di “costruire”, di edificare. E’ come se a un certo punto la vita reclamasse qualcosa di sostanzioso. Cosa hai fatto finora nella vita?
Una delle soddisfazioni delle generazioni passate è stata quella di essersi costruita la casa. La città, cioè la convivenza degli uomini, nasce perché qualcuno ha costruito una casa. E un altro, un’altra accanto. Possibilmente una casa solida, una casa che duri l’intera vita che regga all’urto del tempo, alla corrosione dei sentimenti, alle tempeste della sofferenza, all’incuria dell’indifferenza. Ci auguriamo di non provare mai il dolore di ricostruire dopo il flagello di  un terremoto, eppure che razza di terremoti sono le separazioni e le divisioni? Una casa va costruita sempre, riedificata continuamente. Così some il rapporto tra due giovani che desiderano amarsi. La costruzione di una casa è la cosa più delicata e più solida. E’ l’impresa più affascinante e decisiva. Ci diamo da fare per tante cose, ma trovo che tra le tante per cui vale veramente la pena lottare sia una grande storia d’amore. Ci raccontano che tutto è reversibile. Andrea ed Erica ci raccontano che è bello sfidare il destino, persino la propria debolezza e dire a se stessi e all’altro: “Questa scelta per me non è reversibile”.
La storia delle case abitate è la storia di una costruzione sempre imperfetta, ma di un cantiere sempre vivo e dinamico. Anche se l’avete appena terminata la casa è sempre bisognosa di cura. E se ci fossero, come so che ci sono, giovani fidanzati non aspettate di avere la casa a posto. Vi sposate non perché avete una casa, ma per metter su casa. Continua a leggere

FUTURI SPOSI !!!

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FUTURI SPOSI!!

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Incontro Clan – 19/12/2010

Nell’ultimo incontro del 2010 il Clan ha visto il film “Casomai” di Alessandro D’Alatri, con Fabio Volo e Stefania Rocca.

Negli incontri precedenti abbiamo riflettuto sul tema dell’amore, di quello familiare, di quello dell’amicizia, di quello sponsale, di quello gratuito, la carità.                                                         I protagonisti del film, Tommaso e Stefania, desiderano essere felici, si scoprono felici e decidono di sposarsi. Si, sposarsi alla vecchia maniera: in chiesa e giurando eterna fedeltà. Il matrimonio è l’espressione di una felicità non chiusa in se stessa, ma responsabile. E’ qualcosa di diverso. Diverso dalla convivenza, dal fidanzamento…

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