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PERÒ IL PERÙ!!!

Il 20 giugno andrà per sei mesi in missione in Perù. Da tempo aspettava di poter partire. Dove di preciso non lo sa ancora.

Quando scenderà dall’aereo le verrà detto a quale missione sarà destinata. Federica, conosciuta da tutti come Feffe, ha preso la maturità nell’estate scorsa. Quest’anno sta svolgendo il servizio civile presso un asilo nido. Nel frattempo, ha conseguito il diploma per insegnare a nuotare. Nella nostra parrocchia, è catechista dei bambini di II elementare, è stata animatrice di Estate Ragazzi e per un anno ha tenuto aperto l’Oratorio, un pomeriggio alla settimana. Da qualche anno, è cambiata. È successo qualcosa che l’ha resa più inquieta, ma anche più felice.

Tutto è cominciato quando alcuni ragazzi hanno tenuto un incontro a scuola. Le hanno parlato dei poveri, del Perù. Di Dio.

Non sono mai stata credente…era proprio una cosa che non mi interessava. Incontrando persone come questi ragazzi ho iniziato a desiderare di vivere una vita piena come la loro. Mi parlavano di Gesù non solo con le parole, ma con la loro vita. E così, ho spento la testa, ho aperto il cuore, ho cercato di farmi guidare e pian piano ho iniziato ad entrare in Chiesa, ad inginocchiarmi, a pregare. Mi sono avvicinata a Gesù, ho messo da parte me stessa, ho provato a mettere davanti gli altri. Non è sempre facile…Sono stata fortunata ad aver incontrato un cammino buono come quello dell’Operazione MatoGrosso. Mi aiuta a rendere concreti i miei desideri. Vorrei non sprecare la mia vita, essere felice, vivere una vita semplice…per questo ho bisogno di tenermi stretta tre cose: il sorriso, la preghiera, la carità”.

Mercoledì 11 giugno alle 20 presso l’Arca chi vorrà, potrà salutare Feffe ad una cena ad offerta libera il cui ricavato doneremo a lei, per i poveri che incontrerà. Mercoledì 18 alle 20 insieme al gruppo dell’OMG che Feffe ha incontrato, celebreremo la Messa in quella che loro chiamano la “despedida”, l’addio. La rivedremo a dicembre. L’accompagneremo con la preghiera perchè là sulle Ande non si senta mai sola.

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Non la stoffa, ma il desiderio

Il romanzo è l’arte dell’inventiva letteraria con cui uno scrittore racconta una storia che coinvolge più protagonisti, descrivendone, di pagina in pagina, l’evoluzione dei fatti. La dimensione creativa è necessaria se si vuole rifuggire dalla cronaca e dal genere della biografia necessariamente più attenta ai dati storici e geografici. L’artificio creativo narrativo consente di uscire dal tempo e rendere una vicenda, oltre che brillante, anche contemporanea al lettore. Tanto più se il romanzo si colloca in un passato lontano e ruota attorno alla figura di un santo. Un santo è un uomo la cui posizione sulla vita, la cui piena radicale dedizione a Dio e al prossimo è, in realtà, ciò che ciascuno desidererebbe essere. Non fare. Semplicemente essere.

Gioioso mendicante di De Whol

“Il gioioso mendicante” di L. De Whol

Nel romanzo di L. Whol “ Il gioioso mendicante”(pag.390, euro 11, edizione Bur  Rizzoli), questa dinamica narrativa è salvaguardata dalla straordinaria figura di Ruggero, conte di Vandria, Cavaliere del Re Federico. E’ lui, il protagonista. È lui l’artificio di fantasia  che consente a De Whol di non cadere in una biografia ,pur conservando la fedeltà alla storia proiettandola dentro la contemporaneità di ciascuno. Ruggero è il personaggio sul quale il lettore può riconoscersi nelle sue debolezze e nelle sue attese deluse. Nel suo peccato e nella sua inquietudine. La sua tristezza è simile alla mia che leggo. Ruggero è l’uomo comune. Non è il Santo. E’ l’opportunista, il vanitoso, l’avido. La sua vita è, sin dall’inizio, dal primo incontro una mendicanza. Non chiede tanto denaro, quanto un Castello, eredità di una nobiltà di famiglia da inseguire sempre, come certe felicità. Un castello di sabbia si rivelerà. Una speranza vana quella per cui vive. Un idolo, un Dio falso per il quale bruciare l’incenso della sua gioventù, dei suoi talenti, di un bene possibile per spargere il male odore di un’esistenza ad inseguire un male banale quanto la polvere portata dal vento.

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LETTERA DI PASQUA 2013

Lettera alla Comunità Pasqua 2013

Carissimi fratelli e sorelle,

buona sera!

E questa è davvero una sera buona, una notte buona, una notte bella, una notte potente e luminosa.

“Questa  è la notte che salva, su tutta la terra, i credenti nel Cristo dall’oscurità del peccato e della corruzione del mondo, li consacra all’amore del Padre e li unisce nella comunione dei Santi. Questa è la notte in cui Cristo spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro (…). Di questa notte è stato scritto: la notte splenderà come il giorno e sarà fonte di luce per la mia delizia”.

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Perchè non ci andate tutti i giorni?

Annaelena è una ragazza solare. Bella come di chi ti sorprende per la semplicità e la purezza. Abita a Castel San Pietro Terme, suoi colli di questa terra dolce come il miele e rigenerante come le sue Terme. Annaelena è così, come il miele e le sue acque. E’ sposa di Davide e madre di due figli. Insegna a scuola e porta con sè, nella sua persona e nella sua fierezza, ferita dal dolore, eppur certa nella fede in Cristo, l’essere figlia di una famiglia che conta otto tra fratelli e sorelle. Questa sera è il compleanno di suo fratello Gabriele, morto a soli 31 anni due anni fa.
Ho conosciuto Annaelena a Messa, se così si può dire. Quando a Castel San Pietro comincio il mio ministero da diacono nel 2001 mi viene assegnato di servire la Messa delle 07,15 celebrata, allora da don Nicola, un anziano sacerdote. Lo vigilo sulle parole che deve pronunciare e sui passi che compie. Sui banchi, in mezzo all’assemblea, magari ancora nascosta dalla penombra del giorno che fatica ad emergere sul bagliore, Anna. A distanza di dieci anni, nei quali grazie a Dio tante cose sono accadute, le faccio alcune domande.

1) Ormai da diversi anni tendi a partecipare alla S.Messa quotidiana. Puoi raccontarci in seguito a che cosa hai maturato questa decisione?
Avevo 19 anni quando ho deciso di prendere sul serio Gesù. Era già da un po’ che sentivo che non bastava più fare la cristiana della domenica, uscire dalla S. Messa tutta tranquilla dicendo: ” …e anche questa settimana é andata”. Tornare alle cose di tutti i giorni, sempre con lo stesso spirito lamentoso, senza mai sentirmi particolarmente ” toccata” da Gesù.
Lui invece lavorava dentro. Continuavo a frequentare l’ incontro dei giovani in parrocchia, appena arrivava l’ estate ero sempre pronta per qualsiasi campo mi si proponesse, capivo che avevo bisogno di fermarmi a riflettere su qualcosa di un po’ più ” alto” che non fossero sempre vestiti, ragazzi, gossip Castellano ed in fine poter stare una settimana con amici e conoscere gente nuova è sempre stato il massimo.
Ma finita l’ estate della maturità, mi sono trovata di colpo sola e spaesata, tutte le mie routine e sicurezze erano svanite, andavo in Facoltà e non conoscevo nessuno, avevo cominciato anche ad insegnare in una piccola scuola di campagna, dove mi sentivo fuori da tutto, dove il mio lavoro fatto in quel contesto, poco prestigioso, notato da pochi, mi sembrava un perdita di tempo, non rispecchiava i miei sogni di cambiare il mondo con i miei interventi pedagogici e il mondo pronto ad applaudire.
In questo contesto rimanevano fermi il mio direttore spirituale e quelle buone amicizie che mi avevano sempre accompagnato negli anni, tra le quali una mia carissima amica che aveva appena deciso di non sposarsi e spendere la sua vita per Cristo al servizio degli gli altri.
Ero davvero in crisi, a me il Signore davvero non chiedeva niente? Non gli interessavo?
Basta era il momento di scegliere: chi era Gesù per me? Nacque in me un inquietudine, solo dopo ho capito essere buona,… come volevo spendere la mia vita? Aveva senso quello che facevo? Chi volevo diventare? E con tutto questo Dio che cosa c’ entrava?
Cominciai a chiederlo direttamente a Lui: andavo a metà pomeriggio un quarto d’ ora in chiesa, accanto alla biblioteca dove studiavo, e lí mi fermavo tutti i giorni. Mi stavo innamorando, il Signore, mi apriva il cuore, dopo poco tempo non bastava più quel quarto d’ ora, se ami una persona come puoi volerla vedere così poco? Il mio direttore continuava a propormi di andare a Messa almeno un altro giorno a settimana. Così provai: cominciai con un giorno soltanto, poi il desiderio di ricevere la comunione anche il giorno dopo crebbe, così via giorno dopo giorno fino a completare la settimana. Ricordo che le prime volte non capivo molto, ma intuivo che lì accadeva qualche cosa di diverso, la presenza di Cristo era reale. Non potevo più mettere a tacere quel pensiero fisso, che mi ronzava dentro, come corrispondere ad un amore, all’ Amore? Cercarlo, frequentarlo, lasciandosi amare. Continua a leggere

UNA FAMIGLIA IN VACANZA

E’ sabato 2 luglio e sono le 3 del mattino … La macchina è pronta, le bambine dormono, nel cuore le campane a festa per la Consacrazione al Sacro Cuore di Gesù ci tengono compagnia … si parte, destinazione il Salento. 

La pioggia ci è di compagna fino a Trani, 50 km da Bari circa, lì un piccolo raggio di luce ci sorprende e ci fermiamo per contemplare la meravigliosa Cattedrale costruita a ridosso del mare, come se fosse sulla cima di un molo. Si ha la sensazione che sia il limite estremo dove terra e cielo si uniscono, dove le mani dell’uomo che l’hanno edificata si siano unite a quelle di Dio. E’ “vestita” a festa, due giovani sposi stanno per entrare. Ci guardiamo negli occhi e riaffiora subito il ricordo di quel giorno speciale e di come Dio ci abbia accompagnati e sostenuti  in questi anni col Suo immenso Amore “ti ringraziamo Signore per questi anni, per le figlie che ci hai affidato, per questa vacanza che sentiamo nel cuore speciale, l’occasione di rinnovare la nostra vocazione di sposi e genitori dedicandoci quel tempo e quell’attenzione che nel quotidiano non sempre si hanno”.

Si riparte, le bambine sono gioiose e fremono per arrivare a destinazione, ma facciamo ancora una tappa ad Alberobello … come non vedere i trulli! Lo stupore nei loro occhi ci fa sorridere ma occorre ripartire e via fino a Gallipoli.

Santa Maria di Leuca – Porto Selvaggio un tratto di costa meravigliosa dove Dio ha giocato con rocce, scogli e anfratti di sabbia; l’armonia è perfetta dove la mano dell’uomo non si è imposta o, se lo ha fatto, ha mantenuto quella discrezione tipica di chi, consapevole del dono ricevuto, s’inchina e ringrazia.

Siamo mattinieri nelle nostre esplorazioni e abbiamo così la possibilità di ammirare la natura che ci circonda attraversando la pineta di una riserva naturale, di ascoltare il canto delle cicale, di metterci immobili e in silenzio ad osservare un geco che da un muretto pare guardarci e scrutarci. Ci sentiamo così ospiti di un mondo che poco consideriamo, di un ecosistema che va contemplato e che il Signore ha creato forse proprio per darci assaggi di una bellezza speciale. Per noi l’occasione di rallentare i nostri ritmi fino a fermarci per contemplare e l’anima ritrova la quiete.

Due settimane senza orologio, il tempo è scandito dai ritmi delle bambine più piccole e tutto viene deciso attimo per attimo, non c’è un programma a differenza di tutte le nostre altre vacanze, ma cerchiamo giorno per giorno di cogliere la Volontà del Padre che sentiamo in cuore e di viverla. Sperimentiamo così che quando si ha la grazia di riuscire i nostri animi sono sereni e in una grande pace.

Riusciamo a vivere a pieno ogni momento della giornata tra gite, spiaggia, bagni, giochi, pisoli, chiacchierate e anche qualche baruffa che ci dà sempre comunque l’occasione di confrontarci tutti assieme e di ricominciare. E’ il dono speciale di questa vacanza, di questo tempo che abbiamo avuto  a disposizione per  dedicarsi senza “distrazioni” come il lavoro, la scuola …, a quell’amore reciproco che genera unità, quell’unità nella quale percepisci la presenza di Gesù e l’Amore Grande di Dio, quell’unità tra noi col Padre che è il “porto sicuro” dal quale partire per vivere nel mondo e al quale tornare per riposarsi, consolarsi, sostenersi e gioire.

Una vacanza è l’occasione per riposare, per “staccare la spina”, per fermare la frenesia e dedicarsi un tempo speciale come famiglia … una vacanza è l’occasione per Ringraziare!

Don Alberto Luccaroni – intervista

Dieci anni di sacerdozio: don Alberto.

 

Polonia 2011 - 10° anniversario di ordinazione - Don Alberto con Virginia

 

 

Dieci di sacerdozio vanno festeggiati. In primo luogo, per rendersi conto di come le intuizioni giovanili, alla prova della convivenza quotidiana e l’usura a cui sono sottoposte tutte le cose, siano divenute delle convinzioni. Tutto è più saldo e più cordiale. La vocazione, ogni vocazione, è il mistero e la gioia più grande. E’, cioè, che ci corrisponde. E’ cioè ciò che fa balzare il cuore di un giovane, desideroso di vita, e fargli dire: “questa è la strada!”. E’, in definitiva, il riconoscimento della letizia della propria vita. A maggior ragione, se ciò che a cui si aderisce è Uno che non si vede. Eppure lo è si è visto, al punto da conoscere bene la strada da prendere. Eppure lo si è sperimentato al punto da renderlo presente con la propria verginità. Eppure lo si è abbracciato al punto da testimoniare nella povertà di non aver altro bene che Lui. Lo si ascolta cosicché il proprio io, nell’obbedienza, è sottoposto alla sua Signoria. Il mistero lieto e buffo di una vocazione religiosa sta in questa contraddizione: nel vedere Colui che non si vede.

Sono grato a Dio, infinitamente. E lo sono, non solo, perché ad un certo punto ho compreso questo, ma perché se non avessi incontrato, nei giorni feriali del mio tempo, persone con lo stesso sguardo affascinato da Cristo, forse, non avrei, fino in fondo, corrisposto.

Domenica 20 febbraio viene a celebrare la S. Messa, don Alberto. E’ il primo tra i miei compagni di classe di Seminario a passare dalle nostre parti. E’ mio desiderio farvi conoscere, in questo anno di festa e di gratitudine, quegli sguardi che, a suo tempo, Dio mi ha posto accanto perché mi fosse, più semplice e lieto, confidare in Lui.

Alberto entra in Seminario appena terminato il Liceo. E’ il più giovane di una classe che conta 18 seminaristi. Appartiene alla Diocesi di Faenza. Dopo l’ordinazione, del 2001, viene mandato a studiare a Roma e consegue il dottorato in Diritto Canonico. Ora, è postulatore della causa di Padre Daniele Badiali, responsabile Pastorale giovanile di Faenza, cappellano della sua stessa parrocchia d’origine. Anche lui, come me, ricorda il decimo anno di sacerdozio.

Dove e quando hai percepito per la prima volta che il Signore ti chiamava alla vita sacerdotale’?

Ricordo chiaramente che, quando frequentavo la terza media, un sabato pomeriggio durante il classico incontro di catechismo in parrocchia il nostro parroco don Veraldo venne a farci un saluto, come ogni tanto succedeva. Non ricordo assolutamente nulla di quello che ci disse (a volta ci parlava di un santo, chissà…), ma ricordo chiaramente la sua conclusione: “E voi, avete mai pensato che qualcuno di voi potrebbe diventare un prete o una suora?”. Io non ci avevo proprio mai pensato. Ma a partire da quel giorno iniziai a tenere presente questa idea, come se davanti a me avessi due porte e fossero entrambe aperte: avrei potuto sposarmi, o avrei potuto farmi prete. Le due cose erano alla pari per me; mi dicevo che da grande avrei scelto. Per tutti gli anni del iceo le due porte sono sempre state aperte, poi alla fine ne ho scelta una! Continua a leggere

“VI RACCONTO LA FEDE DI OBAMA” di mons. Giovanni D’Ercole

Mi è capitato di prendere parte la scorsa settimana ad un evento americano che nella cattolica Italia sarebbe oggi inimmaginabile:il National Prayer Breakfast , incontro che si ripete da 59 anni e che raccoglie deputati e senatori americani con membri del governo federale e rappresentanti della politica, della cultura e delle religioni provenienti dal mondo intero.

In verità ogni giovedì in una sala del Senato, non lontano dalla Casa Bianca, si tiene il Prayer Breakfast a cui prendono parte senatori e membri del Congresso democratici e repubblicani: una singolare colazione che non è di lavoro ma di “preghiera”. Un modo per cercare di capirsi e di ricercare l’intesa al di là delle differenze politiche facendo appello al messaggio universale di Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio incarnato per i cristiani e personaggio modello di comunione e di pace per altri appartenenti ad altre confessioni religiose.

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Sta per nascere Gesù…

Racconto di Natale: “Come andarono le cose” di Vittorio Sedini
Carissimi angioletti – disse Gesù bambino – senza offesa, andate a cantare un po’ più in là. Bisogna proprio che nessuno sappia cosa sta succedendo qui!”. Obbedienti come sempre (quasi tutti tranne uno, non so se sapete) gli angioletti se ne volarono più in là.Poi chiamò al telefono i Re Magi e li pregò di lasciar perdere, di non scomodarsi, che il deserto è pericoloso, che ci sono i predoni eccetera eccetera. Questi risposero saggiamente “Ottimo consiglio, Signore, vuol dire che ci vedremo un’altra volta, magari in primavera. Sa, l’artrite, la cervicale, sul cammello non va mica tanto bene…” E non se ne fece nulla. Quanto ai pastori e alle pecore, fu più facile. “Sciò, sciò, care bestiole ! Scappate che arriva il lupo!”. Naturalmente i pastori se la diedero a gambe e le pecore… dietro!A questo punto, se Dio volle, i dintorni della capanna, diventarono più che mai deserti e tranquilli. Sembrava una notte qualsiasi. Sfumata la festa se ne erano andati tutti ed era rimasto lì soltanto l’omino della polenta che aveva sperato fino all’ultimo in una serata di buoni affari. Deluso e un po’ stupito, si avvicinò al Bambinello e gli chiese “Ma cosa ti è saltato in mente? Perché hai fatto questo? Perché hai cacciato via tutti?”.

“Vedi amico – rispose Gesù Bambino – non volevo che a causa di questa notte così bella, tutti gli anni sotto Natale i posteri si cacciassero in un traffico pazzesco avvelenando se stessi e il prossimo. E che corressero in giro come pazzi diventando più cattivi invece che più buoni. Non volevo arricchire i fabbricanti di panettoni . Non volevo che i bambini venissero travolti dalla nevrosi della play station. Non volevo che uscisse il film di natale. Non volevo che quello strano vecchio vestito di rosso si infilasse proditoriamente nel mio compleanno…”. E continuò enumerando tutte le sciagure che ben conosciamo e che ci affliggono da novembre a gennaio, tutti gli anni.

L’omino della polenta ne tagliò cinque fette. Ne diede una al Bambinello, una a Maria, una a Giuseppe, una all’ asino e una al bue. Ne tagliò una anche per sé e tutti insieme fecero una semplice ma indimenticabile cenetta. Come potremmo fare noi a Natale invece che strafocarci di mille porcellerie. Nessuno ce lo proibisce.

ARRIVA L’AVVENTO!

” … e pose la sua tenda

in mezzo a noi”

Avvento, tempo di attesa. Attesa di che? Di Gesù!Ma non è già venuto? Oh, sì, ma tornerà. E quando? Non si sa,non lo sa neanche Lui. Allora dobbiamo sempre aspettare? Sì! Ma allora perché c’è un “tempo” di attesa particolare?

Un bambino sveglio che arrivasse a Castel Guelfo da un altro paese, di cultura e tradizioni non cristiane, potrebbe porci queste e altre domande. Riusciremmo a rispondere in modo convincente ed esauriente? Non corriamo il rischio, a volte, di darci e di dare risposte un po’ preconfezionate, quelle “da reparto surgelati” dei grandi magazzini, che le puoi tenere lì finché vuoi e tirarle fuori quando arriva un ospite a pranzo? Cosa vuol dire oggi, per noi, che a Natale il Signore viene, e che vuole venire proprio qui in Castel Guelfo? La domanda è chiara e semplice, la risposta è davvero complicata. Ognuno, per la verità, dovrebbe dare la sua.

La risposta giusta per andare incontro al Signore che viene è quella di riorientare le nostre strade, le nostre decisioni, le nostre logiche verso di Lui. Questa è la conversione. Di quale passo di conversione ha bisogno, oggi, la nostra parrocchia di Castel Guelfo? Forse quello di creare più comunità,essere più uniti, conoscendoci e ascoltandoci di più. Ci accorgeremo così che il fratello che ci siede accanto a Messa, il vicino di casa, porta nella testa e nel cuore qualcosa di prezioso, tanto prezioso che Gesù ha dato la sua vita per lui. Non sciupiamo questa ricchezza. Non disperdiamo questo patrimonio!

Se riusciremo in questo non facile compito, allora il Natale sarà davvero il compimento del nostro cammino di Avvento, perché

«dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sarò in mezzo a loro»